La diffusione epidemiologica del Covid-19 ha avuto forti ripercussioni in ogni ambito e settore della vita di ciascuno di noi, non lasciando indenne nemmeno il settore degli appalti. Infatti, il rispetto delle misure ministeriali di contenimento della diffusione del virus potrebbe impattare fortemente su alcuni appalti in corso d’esecuzione, determinando un aumento dei costi (basti pensare alla necessità, in molti appalti d’opera, di eseguire interventi di messa in sicurezza del cantiere per tutto il periodo in cui resterà sospeso e ai conseguenti costi per tali interventi) e possibili ritardi nell’esecuzione del contratto.
Quali conseguenze per l’appaltatore nel caso di ritardo nell’esecuzione del contratto di appalto?
Come noto, le misure di contenimento previste dal D.L. 6/2020 e dai successivi DPCM hanno determinato prima un rallentamento e poi la sospensione dei lavori nei cantieri, imponendo quindi un “fermo” forzato che, in molti casi, potrebbe determinare il mancato rispetto da parte dell’appaltatore del termine di esecuzione contrattualmente pattuito, con il conseguente rischio di trovarsi esposto a obblighi risarcitori nei confronti del committente o al pagamento di eventuali penali da ritardo. Non solo, il rischio di un’esecuzione ritardata della prestazione oggetto di appalto potrebbe altresì verificarsi anche nella cosiddetta “Fase 2”: il rispetto delle misure di distanziamento sociale potrebbe infatti portare ad un rallentamento dell’attività del cantiere (basti pensare che, dove prima potevano operare contestualmente 20 operai, le misure di distanziamento sociale potranno determinare una riduzione del numero di operai attivi in cantiere con evidente rallentamento dell’esecuzione dell’opera). In tutte queste ipotesi, l’appaltatore, per andare esente da responsabilità, potrebbe invocare una specifica disposizione che il Governo ha ritenuto di inserire all’interno dell’art. 91 del Decreto c.d. “Cura Italia”, stabilendo espressamente che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti, degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati od omessi adempimenti”. Ciò significa che l’appaltatore, qualora non riesca a rispettare i termini di esecuzione del contratto a causa del rispetto delle misure di contenimento imposte dal Governo, potrà liberarsi dall’eventuale obbligo risarcitorio nei confronti del committente o dal pagamento di eventuali penali da ritardo, dimostrando che il ritardo venutosi a creare è dipeso proprio dall’obbligo di rispettare le misure governative, chiedendo, per l’effetto, una rinegoziazione dei termini contrattuali originariamente pattuiti.
Quali rimedi nel caso in cui si venga a determinare un aumento dei costi dell’appalto?
La disposizione che in tale ipotesi potrebbe venire in soccorso è l’art. 1664, comma 1, c.c., a mente del quale “qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione
può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo”. Si tratta di una norma di grande attualità, in considerazione del fatto che i provvedimenti adottati dal Governo potrebbero incidere sui costi degli appalti (per fare un ulteriore esempio concreto, oltre alla messa in sicurezza del cantiere per tutta la durata della sua sospensione, vi sarà la necessità di acquistare e dotare ogni lavoratore dei necessari dispositivi di protezione). Tali circostanze potranno eventualmente essere invocate dall’appaltatore, ai sensi della norma sopra citata, al fine di chiedere la revisione del prezzo (limitatamente, si badi bene, alla differenza che eccede il decimo). Tale disposizione si ritiene applicabile alla situazione attuale in quanto l’epidemia da Covid-19 e le successive misure di contenimento adottate costituiscono “circostanze imprevedibili”, ovviamente estranee alla volontà dei contraenti. Ciò che invece dovrà essere valutato caso per caso è l’incidenza di tali circostanze nella misura del decimo del prezzo complessivo dell’appalto affinché la richiesta di revisione del prezzo possa rite- nersi legittima. Si segnala inoltre la possibilità, prevista per l’appaltatore dal secondo comma della norma in oggetto, di chiedere un equo compenso nel caso in cui nel corso dell’opera si manifestino difficoltà derivanti da cause geologiche, idriche e simili, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione. Invero, la portata applicativa di tale norma in relazione in particolare al significato del termine “simili” (e quindi l’utilizzabilità della stessa norma nell’ambito dell’attuale emergenza sanitaria) è dibattuta in giurisprudenza e dovrà, pertanto, essere oggetto di attenta valutazione caso per caso.
In taluni casi è addirittura possibile domandare la risoluzione del contratto di appalto?
Due sono le circostanze in forza delle quali sarebbe astrattamente possibile addivenire alla risoluzione del contratto di appalto: l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione e l’impossibilità sopravvenuta di esecuzione della prestazione per causa non imputabile alle parti.
• La norma di cui all’art. 1467 c.c. stabilisce che “nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è diventata eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto […]” e detta una disciplina di carattere generale rispetto a quella di cui all’art. 1664 c.c.. La sua applicazione potrà essere invocata in ipotesi diverse da quelle riconducibili all’art. 1664 c.c. (per esempio, ad avviso di chi scrive, sembrano difficilmente riconducibili alla fattispecie di “costo dei materiali o della mano d’opera” – e quindi rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 1664 c.c. – i costi connessi alla necessità di rielaborare il Piano Operativo di Sicurezza del cantiere in ragione delle disposizioni governative che impongono il distanziamento sociale). L’eccessiva onerosità so- pravvenuta della prestazione potrebbe costituire il presupposto per la risoluzione del contratto, a condizione che da un lato si sia venuto a creare uno squilibrio tra le prestazioni non previsto al momento della conclusione del contratto e dall’altro la causa di tale eccessiva onerosità possa essere ricondotta ad eventi straordinari ed imprevedibili non rientranti nella normale alea contrattuale. A parere di chi scrive la situazione di crisi determinata da Covid-19 e dai conseguenziali provvedimenti governativi potrebbe integrare i caratteri della straordinarietà e dell’imprevedibilità, cosicché non apparirebbe errato, qualora a causa di tale crisi la prestazione contrattuale fosse divenuta eccessivamente onerosa (circostanza, questa, che dovrà comunque essere valutata caso per caso),
invocare l’applicabilità di tale norma, ferma restando la necessità di valutare in concreto se l’appaltatore possa considerarsi già tutelato dalla norma specialistica di cui all’art. 1664 c.c..
• La seconda circostanza che potrebbe eventualmente legittimare una richiesta di risoluzione del rapporto contrattuale attiene alle eventuali fattispecie di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile alle parti. L’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione (se definitiva) o che esonera da responsabilità per il ritardo (se temporanea) deve essere obiettiva e assoluta come sancito sino ad oggi da ampia giurisprudenza e, pertanto, dovrà essere oggetto di specifica valutazione nel caso concreto. Un’ulteriore disposizione che in tali circostanze potrà eventualmente trovare applicazione è quella di cui all’art. 1672 c.c. a norma del quale “se il contratto si scioglie perché l’esecuzione dell’opera è divenuta impossibile in conseguenza di una causa non imputabile ad alcuna delle parti, il committente deve pagare la parte dell’opera già compiuta, nei limiti in cui è per lui utile, in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera”.
In conclusione, si può quindi affermare che vi sono diversi appigli normativi che possono venire in aiuto dell’appaltatore nella situazione di crisi attuale ma, e lo si sottolinea, è molto importante che ogni singola fattispecie venga valutata nel caso concreto e che le parti in causa non applichino tali istituti in maniera arbitraria e unilaterale ma si confrontino, ispirate da buona fede e buon senso, al fine di addivenire ad una soluzione conciliativa che tenga conto delle contrapposte esigenze.
Lucrezia Quoco
lucrezia.quoco@colladipiazzalex.it
Udine